Alle 18.00 si svolgerà la presentazione di “La Casa del Colonnello”, un romanzo autobiografico di Alvise Lazzareschi, cavatore di Colonnata, figlio e nipote di cavatori – la casa del colonnello è casa sua, e il colonnello è un suo avo – ma è anche la storia di chi ha vissuto intorno a lui, in quel mondo che oggi non esiste più, o meglio, come preferisce dire lui stesso, in quel mondo che si è trasformato. Il romanzo si articola attraverso una serie di racconti, ognuno con il suo inizio e la sua fine, che definiscono il “mondo” di Alvise. Ma in realtà è un omaggio ai monti Apuani, ai paesi e le genti di questi luoghi, ma soprattutto ai cavatori. Nessuno, prima, aveva raccontato le cave, e chi ci lavora, in questa maniera. E questo è un altro dei meriti di questo bellissimo romanzo. Nel prologo Alvise racconta la sua vita in un giorno, un giorno di lavoro in cava. Ci sono l’emozione e la tensione della «bancata», c’è la lizzatura, c’è il suono del “mugnone”, che avvisava il paese di un incidente sul lavoro con la corsa isterica delle donne per sapere il nome della… vittima. E c’è “Valzerlento”, il soprannome di un famoso capolizza degli anni ’40, di cui nessuno conosceva il vero nome, chiamato così perché, essendo anche un po’ claudicante, camminava che sembrava danzare, specie dopo aver fatto il giro delle cantine. Tutti i racconti, che Lazzareschi riesce a mettere insieme in una trama unica, sono affascinanti e lasciano qualcosa dentro. Come il racconto del “cudurzin”. È “l’uccellino dalla coda rossa – scrive Alvise – amico dei cavatori, che a differenza degli altri uccelli non si costruisce il nido tra le fronde degli alberi, ma vive tra gli anfratti delle rocce, lassù, nelle vette più alte, e viene verso di noi per portarci un po’ di pace, per proteggerci, sollevare i nostri cuori dalla cappa che li opprime”. Nessuno ha mai visto il cudurzin ma tutti sanno che c’è, un po’ come l’Araba Fenice. Non poteva mancare l’amore, con due storie memorabili: quella tra il colonnello, che dà il titolo al romanzo, e una nobile veneziana, che vissero il loro breve ma intenso amore a Colonnata, e quella del giovane Valdemaro, il “filist” della cava, e di Selene, 14 anni, una delle donne che portavano (in testa), dal fondovalle alle cave, i sacchi di iuta pieni della sabbia (rena) che serviva per tagliare il marmo. Bastò uno sguardo per stare insieme tutta la vita.